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sabato 15 ottobre 2011

This Must Be the Place (2011) by Paolo Sorrentino


This Must Be the Place (2011)
di Paolo Sorrentino

Sean Penn (Cheyenne)
Frances McDormand (Jane)
Judd Hirsch (Mordecai Midler)
Eve Hewson (Mary)
Johnny Ward (Steven)
Sam Keeley (Desmond)
Olwen Fouere (Mary's mother)
Simon Delaney (Jeffrey)


Che Paolo Sorrentino sia il regista italiano tra i più ricchi di immaginazione e visionarietà è accertato e non stupisce che il suo tocco di stile abbia superato i confini nazionali e quelli limitrofi della Svizzera ovattata di Le Conseguenze Dell'Amore. La fluidità dei piani sequenza e i carrelli che vanno a scoprire dettagli nascosti dell'immagine sono la prerogativa di un regista che vuole guardare al di là del naïf italiano, soprattutto produttivo, e punta a uno studio della visione che si avvicina ad un'idea europea e globale, dunque non locale, della meteria Cinema.

Paolo Sorrentino ha un pregio che nessuno oggi ha (forse Garrone, ma non a quel livello): riesce a costruire scene vorticose e sofisticate che risultano comprensibili anche allo spettatore meno impegnato e meno disposto a guardare qualcosa di difficile. La scena del concerto dei Talking Heads (da cui viene il titolo del film), che verte su un carrello all'indietro per poi diventare obliquo e orizzontale a stringere sull'annichilito cantante gothic impersonato da Sean Penn, è un pezzo di bravura straordinario aiutato, c'è da dirlo, dalle fantastiche luci di Luca Bigazzi, ormai un'istituzione del cinema italiano di qualità.

La storia di Cheyenne, una trasposizione piuttosto fedele di Robert Smith dei Cure, che dalla livida Irlanda si sposta negli USA per vendicare suo padre da un ex criminale nazista, ha più di qualche buco e si perde un po' nel via vai di trovate registiche da videoarte. La scrittura, come al solito nei film del regista napoletano, non è al pari della regia anche se Cheyenne e sua moglie (la sempre fantastica Frances McDormand forse nella sua interpretazione migliore dal lontano Oscar di Fargo) dispensano battute taglienti e sagaci al tempo stesso.

Ma la cosa che meno torna è il fatto che un film così sospeso nel vuoto pneumatico e dallo stile così asciutto non riesca a conservare il suo spirito minimalista, bensì lavori per addizione di scene e situazioni. A conti fatti il film dispensa messaggi retorici, facili e banali, come accadeva da L'Uomo In Più in poi, in controtendenza con l'importanza e l'iperrealismo della messa in scena.

L'impressione è che Sorrentino sarebbe un grandissimo regista se non si scrivesse le storie, stavolta a quattro mani con Umberto Contarello, e tenesse un po' a bada la sua inclinazione nel dispensare messaggi. Soprattutto se la voce off del padre morto di Cheyenne risulta così pedante e inutile come in questo caso.


VP