Il vento caldo dell'estate che Alice cantava nel 1980 se ne sta andando dopo essersi fatto rimpiangere per tutto luglio e averci fatto tribolare a cavallo tra agosto e settembre.
Persino in Polonia, dove il vostro affezionatissimo ha trascorso 22 giorni di vacanze prima di ritornare nel belpaese d'urgenza per falso allarme cardiaco, si sono raggiunti i 37 gradi all'ombra. Cracovia, da quella splendida e amabile cittadina qual è, si è trasformata in un inferno di belle ragazze sudate con le gambe tempestate di bolle. Le protagoniste di questa agonia sono state le zanzare: i maledetti esseri viventi più inutili e fastidiosi dell'ecosistema hanno invaso la Polonia come neanche i nazisti durante la guerra. Dopo due giorni di permanenza, con la schiena ricoperta di pustole bianche per un altrimenti bellissimo BBQ in campagna, ho chiesto alla mia amica Ana se tutto ciò fosse normale; a quanto pare, sentendo anche il parere di altre persone, è la prima volta che da quelle parti l'estate si rivela così torrida e negli anni passati dei fottutissimi esseri succhiasangue c'era solo una sparuta presenza.
Il mondo cambia quindi, almeno dal punto di vista climatico. A non cambiare ancora invece è la percezione che gli abitanti della Mitteleuropa orientale hanno dell'Italia. Un mio amico a Londra diceva: <<Se cerchi casa insieme a altre persone, trovati un compagno polacco. I polacchi e gli italiani vanno sempre d'accordo>>. Ed in effetti nel mio girovagare da Breslavia a Varsavia non sono riuscito a trovare un polacco, men che meno una ragazza, che non vedesse l'Italia almeno come un paese desiderabile da visitare. Tutto ciò escludendo ovviamente i non rari raptus di follia violenta che i muscolosi ragazzi sfogano nei weekend, prede di quel grande difetto tipico dei polacchi di ubriacarsi con facilità. È incredibile e scioccante per un frequentatore dell'est Europa constatare come in Polonia l'alcol non venga assolutamente retto: una, due, tre pinte di buonissima birra Lech e finisci per dare un cazzotto in pieno volto a un gioviale americano che stava solo scherzando ad alta voce con gli amici. È successo a Cracovia davanti ai miei occhi.
Sul rapporto tra italiani e polacchi ci sarebbero da scrivere articoli e libri. Loro venivano a Roma nei primi anni '90, dopo la fine del comunismo, a fare i lavori che fino a poco tempo fa facevano gli albanesi e che oggi sono appannaggio di rumeni e ucraini. Per quanto fossero sfruttati e malpagati, i Polish in Italy in the 90's, come la mia amica Monika (39 anni) di Breslavia, ricordano con malinconia le passeggiate a piazza Navona e le spaghettate aglio e olio nelle trattorie di Trastevere. Il loro italiano è ancora perfetto, i loro rapporti con ex fidanzati nostrani un po' meno idilliaci: <<cosa pretendete voi italiani se noi da ragazze eravamo bellissime e tutta Roma ci riempiva di fischi e complimenti? Voi facevate gli stronzi? Noi vi lasciavamo!>>.
Meno furbette e parzialmente più timide sono le ragazze di 20 anni, quelle che l'Italia l'hanno vista massimo due volte. Anche loro, figlie della Polonia economicamente sviluppata e assidue frequentatrici dei centri commerciali (fenomeno che ha prodotto il virus della prostituzione minorile in cambio di ricariche del telefono, come raccontato nel film Galerianki, mai uscito da noi ma primo al box office in patria), non vedono l'ora di andarsene. <<Come on, Poland sucks!>>, dicono. Eppure queste ragazze hanno come tutti i polacchi un sentimento patriottico estremo e orgoglioso, dato da resistenze a continue invasioni e tanta voglia di libertà. Ma se le fanciulle sono pronte e arruolate per mostrare la loro bellezza negli stadi dove si terranno i prossimi europei di calcio, magari sventolando bandiere biancorosse, la loro volontà primaria è quella di andar via, fuggire, come spesso accade per noi giovani italiani. E qual è il primo paese che nominano quando chiedi loro la meta tanto agognata, se non proprio il paese dove siamo nati e cresciuti?
Ci sono aspetti davvero bizzarri della questione. Anna, una seducente ragazza mora dal bel volto e gambe perfette incontrata a Poznan per un pranzo assieme, ha già le idee molto chiare: finire lo stage nel miglior ospedale della sua città, dove avrebbe un lavoro sicuro per mantenersi, e trasferirsi in Veneto per cercare un posto da fisioterapista. <<Fisioterapista? Tu vuoi fare la fisioterapista?>>, chiedo io. <<Perché no?>>, mi risponde, sempre col suo atteggiamento molto sicuro di sé. <<Perché sei bella... sei bella e vivi in una casa al centro di una cittadina graziosa... sei pronta a lasciare tutto questo per fare la fisioterapista in Italia?>>. E quando penso che il mio sconcerto sia giunto all'apice lei mi fredda con un: <<in Polonia ci sono poche possibilità. In Italia siete pieni di posti di lavoro>>. 'Davvero?', ancora mi chiedo.
Justyna è una ragazza a cui voglio molto bene. È poco più che ventenne e studia a Cracovia. La sua vita finora è stata "boring" e molto povera di esperienze: non è mai uscita dalla Polonia, non ha mai visitato città importanti come la capitale, non ha mai visto il mare. Capelli castani, occhi verdi da sogno, nella vita vorrebbe fare l'infermiera. <<L'infermiera? Ma tu sei bellissima, dovresti fare la modella. Perché mai dovresti passare la vita dentro un ospedale a mettere le flebo ai vecchietti in fin di vita>>. Lei mi risponde: <<Perché amo tutto questo>>. Continuo a vessarla di domande e di pareri sull'assurdità della sua scelta e infine Justyna getta la maschera. <<Beh, vuoi che ti dica la verità? Fare l'infermiera e prendersi cura delle persone è la cosa più facile da trovare. Voglio andare via da quì e all'estero i lavori che si trovano sono questi>>. Le chiedo quale paese sia la sua aspirazione ma, per quanto lei mi risponda di essere indecisa, ho la strana impressione che la parola Italy le stia uscendo dalla bocca.
Ovviamente tutte le discussioni con le ragazze erano intervallate da messaggini e rapide occhiate ai loro iPhone di ultima generazione che fanno scattare la fatidica domanda: ma come fanno queste ragazze a affollare i centri commerciali e possedere questi telefoni se in Polonia il costo dell'elettronica, così come quello dell'abbigliamento, è esattamente lo stesso rispetto a noi ma lo stipendio medio è circa la metà (500 euro)?
Misteri incomprensibili o che forse non vogliamo comprendere. D'altronde questi paesi ti insegnano ogni giorno di più che tutto è relativo. In Italia ci incazziamo, non lavoriamo, siamo dei bamboccioni, siamo frustrati, sull'orlo di una crisi di nervi grigia come il colore dei casermoni sovietici delle periferie polacche prima di venir ridipinti con strambi colori sgargianti a allontanare la tristezza. Il colpo finale me lo dà Hania, una quarantacinquenne che incontro sull'aereo di ritorno. Non mi ha fatto capire con precisione che lavoro faccia a Roma: mi ha accennato in maniera a dir poco confusa a sue competenze in radiologia ma io credo che faccia la badante. Le ho detto: <<Ma perché voi polacche volete venire da noi. Non vi riesco a capire... l'ho chiesto a tutti e tutti mi hanno risposto che l'Italia è un paese da sogno. Ma non lo sapete che noi non troviamo un lavoro neanche a pagarlo? Il lavoro in Italia non c'è...>>.
Lei mi ha guardato male con i suoi occhi verdi di ex bellezza da infarto e mi ha risposto: <<Ma cosa dici? In Italia è pieno di lavori e di opportunità. State sempre a lamentarvi...!>>.
E vabbè... forse il problema siamo noi. O forse no... fatto sta che dopo 22 giorni di viaggio ho esaurito domande e curiosità. Anzi, sarebbe ancora da chiedere per quale motivo in quasi tutte le lingue europee e americane "italiano" si dica "Italian" o "italiensk" mentre per i polacchi noi siamo "włoski".
Ma ormai sono troppo stanco per altre domande.
VP