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lunedì 7 aprile 2014

Nymp()maniac vol. I (2013) by Lars von Trier

Nymph()maniac (2013)
di Lars von Trier

Charlotte Gainsbourg (Joe)
Stellan Skarsgård (Seligman)
Stacy Martin (young Joe)
Shia LaBeouf (Jerôme)
Christian Slater (Joe's father)
Uma Thurman (Mrs. H)
Sophie Kennedy Clark (B)
Connie Nielsen (Joe's mother)


Cosa c'entrano la schiavitù del sesso, un rapporto con un padre medico e naturalista, una madre fredda che volta le spalle mentre gioca al solitario, un'amica bionda birichina, il gioco a chi si scopa più uomini sul treno, con la musica classica, le tecniche di pesca e la matematica di Fibonacci? Forse qualcosa, probabilmente nulla.

Fatto sta che Lars von Trier c'ha costruito un film che vorrebbe essere scandaloso sin dal titolo con una O a mo' di parentesi vaginale, che parte con una serie di movimenti di macchina inutili e pretenziosi che divelano il corpo a terra della protagonista, ritrovata e ospitata da un vecchio ebreo anti-sionista, filosofo di qualcosa che neanche si capisce. Allusioni, didascalie sovrapposte alle immagini, masturbazioni con squadre geometriche, una mamma che imbocca a casa della protagonista per sputtanare il marito davanti ai figli (la scena più riuscita di questa roba), tante scopate censurate da una distribuzione rivolta a un pubblico borghese radical chic che se la ride di gran gusto senza troppe pene e troppi peni in vista.

Una distribuzione paracula che divide il film in due parti, con doppio incasso in vista, e spettatori trascinati dalla voglia di vedere e capire come andrà a finire, cosa quel testa di inutili provocazioni di von Trier metterà per divertire e scandalizzare una platea di curiosi insaziabili.

Una cialtronata d'autore? Un cerebrale Tinto Brass nordico con tette piatte e culo basso? Oppure un porno soft spacciato per opera ribelle che vorrebbe indagare sulle devianze della sessualità femminile senza conoscerla inevitabilmente? Oppure, come accadeva in INLAND EMPIRE per David Lynch, un esempio di ciò che i grandi autori degli anni '80 e '90 stanno facendo nel cinema dell'era digitale: trattare i film come contenitori vuoti dentro cui vomitare tutte le ossessioni e suggestioni per allontanarsi il più possibile da un linguaggio convenzionale e conforme che dalla TV a Internet attraversa l'immaginario collettivo.

Un concetto odioso e irrispettoso del cinema stesso, a cui, tanto per rimanere in tema, si fa preferire quel vecchio gusto per la perversione, cifra stilistica dell'edonismo anni '70 che, tra una Sylvia Kristel a bordo dell'aereo, la gola profonda di Linda Lovelace e la malizia di Laura Antonelli, nel bene e nel male riscaldava sensi e ricordi.

Dubito che questo lo farà.

Appuntamento al 24 aprile col secondo volume, per capire un po' meglio se c'è da capire.


VP