A Divina Comédia (1991)
di Manoel De Oliveira
Maria De Medeiros (Sonia)
Luís Miguel Cintra (prophet)
Mário Viegas (philosopher)
Leonor Silveira (Eva)
Ruy Furtado (director)
Carlos Gomes (Adao)
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Una villa nel verde con i suoi
salotti ben arredati e un gruppo di personaggi letterari e filosofici. Anzi no,
una casa d’igiene mentale immersa nel verde con salotti ben arredati e un
gruppo di pazienti che discutono e si confutano in buona fede; gli infermieri
intervengono quando Adamo ed Eva ricostruiscono il gesto di ribellione verso
l’autorità divina, che a sua volta gli rovescia addosso una pioggia
scrosciante, così come moderano le conseguenze più patetiche di ogni
personaggio in continua esplorazione della propria cifra caratteriale. A fare
da raccordo a questo girotondo d’interpretazioni, che si montano e si smontano
e si evolvono (con Eva che diventa una pudica Santa Teresa come a mostrare
l’altra faccia di una stessa medaglia), non sono solo i divanetti e le grandi
tavolate ma anche la musica suonata dalla pianista Maria João Pires a cui il
regista De Oliveira offre la possibilità di eseguire un ampio repertorio.
Il gioco è semplice e ha il fascino
di un’idea intellettuale affrontata con curiosità: presentare in una messa in
scena teatrale raccolta i protagonisti di Delitto e Castigo, i Fratelli
Karamazov e poi Lazzaro e altri compagni biblici per interrogarsi sul ruolo
dell’Uomo nel rapporto con la propria coscienza, col mondo e con l’Assoluto. Il
cinema di De Oliveira, allora ottantatreenne, è caratterizzato da un impegno
alleggerito da una forma fresca e saggia da diventare divertimento concettuale
ed esplorazione delle debolezze umane e della Storia: declassa il Mito
(letterario, religioso, intellettuale) e allo stesso tempo innalza l’umanità
alienata al rango d’istituzione dialettica. Il fascino del film è racchiuso e
limitato all’idea e alla personalità degli interpreti: i personaggi parlano e
si muovono negli spazi chiusi e aperti rispettando le proprie caratteristiche ma
mai andando al di là di se stessi. Per essere un’opera che strizza l’occhio
alle forme d’arte e di pensiero più aristocratiche si tratta di un paradosso.
Sagace e paradossale.
Sagace e paradossale.
VP