Per chi ama la letteratura, scrivere racconti, essere cittadini del mondo e riflettere sulla Settima Arte

venerdì 17 maggio 2013

CONFESSIONI DI UN MALESSERE PER UN SISTEMA MALATO (17/05/2013)

Avere una grandissima passione, scomodiamo anche il termine "amore", per qualcosa e non riuscire a metterla in pratica è una cosa che rende impotenti e frustrati. Ma la cosa che ancora di più annichilisce per lasciarsi sprofondare in un burrone senza speranza è vivere in un sistema che non funziona, che svilisce la bellezza di ciò che si ama, che insulta l'importanza di arti, mestieri e industrie.

Già, industrie, perché a qualsiasi ragazzo che mi chiede il perché me ne stia con le mani in mano senza quantomeno tentare di contattare produzioni e distribuzioni in cerca di lavoro e di una qualsiasi strada per arrivare alla gloria e a ciò che ritengo il vero obiettivo della mia vita (aiutare il Cinema a vivere, espandersi, farne parte anche senza rimanere accecato da fama e soldi) rispondo sempre che la Settima Arte non può vivere senza un'industria. Non è la letteratura, per la quale volendo si potrebbe contribuire con risibili spese (qualche migliaio di euro per un'inutile autopubblicazione e qualche contatto con una rete distributiva); per fare un film basico, una specie di Kieslowski odierno tanto per intenderci, quantomeno bisogna trovare 700.000 euro, ovvero affidarsi al supporto dei vari settori industriali. Non può esistere Cinema in paesi dove l'industria è carente o poco sviluppata e non è un caso che posti tipo la Bielorussia e l'Ucraina non esportino più un film che sia uno, mentre ai tempi dell'Unione Sovietica erano set prediletti dei registi della Grande Madre.

Ma la cosa più nauseante è che paradossalmente un film si potrebbe anche confezionare; un lavoro lungo e difficile, fatto di contatti con squali di professione (e visto l'andazzo non potrebbe essere altrimenti); ma tra finire un prodotto e vederlo proiettato in una varietà di sale (il theatrical, come dicono gli americani) non c'è un torrente di normalissimo lavoro postproduttivo: è una vera odissea fatta di (multi)sale che non possono permettersi di togliere temporaneamente uno Scary Movie per adolescenti in calore per dare visibilità a un esordio... quando le sale esistono ancora.

Io non sono uno che piange spesso, almeno non nel senso comune e fisico del piangere. Una volta che scoppiai in lacrime fu alla chiusura del Metropolitan, cinema storico e importante per il tessuto urbano romano. Io vorrei lavorare e vivere in un paese che non permette simili nefandezze, che uccide la Cultura e lo svago intelligente per far posto a sale bingo e slot machine che non possono portare altro che tristezza, speculazione e appoggi alla criminalità organizzata.

L'Italia è piena di film che vengono realizzati, anche e soprattutto con aiuti statali, che poi vengono lasciati li, senza una vetrina che sia una. E se un grandissimo scrittore, un'eccellenza italiana del secolo scorso, nelle sue lezioni alle prestigiose università americane spiegava che la "visibilità" è una condizione necessaria per vivere nel XXI secolo, non si capisce come ci possa essere lo sviluppo di profili e competenze.

Questo riguarda le opere degli esordienti come anche i capolavori assoluti, quelli che stanno scrivendo la Storia del Cinema che i posteri studieranno nei prossimi decenni. Un'opera importante, giovanile, che stimola riflessioni e contrasti come Confessions è uscito due settimane fa in appena una sala a Roma, il Madison di via Chiabrera; ho seriamente rischiato di perderlo e mentre ne ammiravo lo stile graffiante e lucidamente onirico un alone di rabbia mi devastava. Ma i distributori che hanno pensato a divulgare cotanta opera in uno spazio solo hanno la dignità di guardarsi allo specchio? Piuttosto che tenere impegnato il cervello a tradurre in modo volgare i titoli originali dei film americani non potrebbero (ri)farsi un bel corso di Cinema e tornare a un'idea di servizio alla coscienza popolare che dovrebbe essere quello della divulgazione di opere d'arte?

Non so se esista una speranza, d'altronde questo è un paese pronto a perdonare tutto da parte di chi ha trattato il popolo come un'unità di massa da svuotare di qualsiasi ambizione intellettuale, ferma davanti la tv a guardare il calcio e le nefandezze nazionalpopolari. Fatto sta che Confessions, che già è arrivato in ritardo di tre anni, è stato un successo e al suo secondo giro (settimana) lo troviamo anche al Farnese di Campo De' Fiori.

Un film che non esce, o che viene umiliato da logiche da discount, è come un romanzo di edizione nuova di zecca che finisce subito nella bancarella del mercato rionale. In paesi come Germania, Francia (quelli civili insomma) questo non è possibile o per lo meno si è attenti affinché non accada: il trucco è quello di educare il pubblico, stimolarlo a migliorarsi intellettualmente restituendo alla nazione un popolo di persone capaci di catturare la poesia di un prodotto artistico per poi trasferirlo nella vita reale.

La Francia è un paese che non se la passa così meglio dell'Italia; il debito pubblico è consistente e anche la disoccupazione è sfociata oltralpe: ma lo Stato (con la maiuscola) incentiva, vuole essere parte attiva del processo che porta un'idea a essere un film. E lo Stato fa di tutto affinché il pubblico capisca la bellezza di un'opera, ne assimili il fascino e lo stile, porti soldi alla casse sue e della Settima Arte: così si muove un processo che porta a creare posti di lavoro nella critica, nella stessa distribuzione, nella nascita di nuovi esercenti, in barba alle speculazioni sul gioco d'azzardo come sta accadendo a Roma in modo vergognoso (con casermoni luccicanti che spuntano come funghi per tutta via Tiburtina).

In parole povere un sistema che porta felicità per chi il film lo riceve, per chi il film lo critica e infine per chi il film lo produce e per chi ci lavora. Invece noi continueremo, grazie al successo di persone che incentivano l'ignoranza e la semplicità per brama di potere e di controllo, a vivere un'umanità perennemente al ribasso, fermi davanti a scatole in un paese in cui la felicità è un privilegio.


VP