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giovedì 14 marzo 2013

Educazione Siberiana (2013) by Gabriele Savatores


Educazione Siberiana (2013)
di Gabriele Salvatores

Arnas Fedaravicius (Kolyma)
Vilius Tumalavicius (Gagarin)
John Malkovich (nonno Kuzya)
Peter Stormare (Ink)
Eleanor Tomlinson (Zenya)
Vitalij Porshnev (Vitalic)
Jonas Trukanas (Mel)
Arvydas Lebeliunas (Doctor)


Non era facile portare sullo schermo il best seller di Nicolai Lilin: la quantità di informazioni presenti nel romanzo lo facevano un vero e proprio glossario sulla mentalità criminale della comunità Urca relegata in Transnistria dopo la deportazione dalla Siberia ad opera di Stalin. L'ostacolo più grande in sede di sceneggiatura che l'affiatato duo Rulli / Petraglia ha dovuto superare è stato proprio sedimentare tutte le parti quasi saggistiche della penna di Lilin all'interno di una narrazione frammantata, fatta di storie che si incrociano, si ripropongono con scarto temporale e uno stile che cambia di tono repentinamente. Dare una forma omogenea a questo materiale multiforme e irregolare significa necessariamente tagliare una gran parte delle suggestioni su cui lo scrittore partiva per il racconto delle sue storie; concentrarsi sull'unica linea narrativa che potesse raccoglierne il maggior numero senza tante forzature.

Ovvero l'amicizia tra Kolyma e Gagarin, in un Once Upon a Time In Soviet Union dove gli insegnamenti (a)morali di nonno Kuzya (un perfetto John Malkovich), di tecnica del tatuaggio da parte di Ink (Peter Stormare) e i rapporti con la bella handicappata Xenya (nel romanzo stuprata da un gruppo di sconosciuti e con i protagonisti che vagano per i villaggi amici e ostili in cerca di informazioni per poi scatenare la vendetta con la benedizione dei vecchi criminali) permettono a Gabriele Salvatores di esprimersi in un'epica che ricorda Sergio Leone e che ben si inserisce in una tradizione di cinema italiano che si affaccia al di fuori delle logiche nazionali (in questo caso la regione separatista moldava ricostruita in Lituania).

Ma se le scene sono belle (il furto degli stivali ai furgoni della milizia, l'esondazione del fiume con la morte di Vitalic e Xenya che suono al pianoforte, il covo di Seme Nero) e la struggente poesia dei casermoni ex sovietici riflette a dovere, il film nelle sue semplificazioni strutturali e di scrittura scivola clamorosamente. Da un lato interpreta bene il ruolo dei personaggi (la timida saggezza di Kolyma, l'arroganza corrotta di Gagarin, l'innocenza di Xenya, la meticolosità di nonno Kuzya), dall'altro perde del tutto il contatto con l'analisi sociologica che un evento drammatico della portata del crollo dell'URSS richiederebbe e che era la vera chiave per comprendere il romanzo.

Così il film si addentra nell'intimità dei personaggi e nello stream of consciousness che porta il soldato Kolyma, in missione in Cecenia per conto dell'esercito russo (materia su cui Lilin ha completamente costruito il suo secondo romanzo Caduta Libera), a ricordare le tappe del suo passato. E proprio sulle montagne del Caucaso si consuma la vendetta dello stupro di Xenya, con la buona pace di tutti quelli che hanno letto il romanzo di Lilin e che trovavano nell'episodio finale del reclutamento inaspettato uno dei punti forti del mondo narrato dallo scrittore slavo.

Ci sono libri che forse non dovrebbero essere portati al cinema... o titoli che forse dovrebbero essere cambiati: a volte la libera ispirazione è la vera salvezza di un film.


VP