The Rocky Horror Picture Show (1975)
di Jim Sharman
Tim Curry (Frank-N-Furter)
Susan Sarandon (Janet Weiss)
Barry Bostwick (Brad Majors)
Richard O'Brien (Riff Raff)
Patricia Quinn (Magenta)
Nell Campbell (Columbia)
Jonathan Adams (Dr. Everett / Dr. Scott)
Non esiste genere più invecchiato e meno alla moda in questa era di tubi catodici e informatici del Musical: quello classico, che si vedeva dall'inizio alla fine in una sala buia per condividerne gioie, dolori, passi di ballo e canzoni, da Vincente Minnelli a Bobo Fosse, passando per Stanley Donen e Robert Wise. È anche il genere che conserva nei suoi esempi più alti una carineria autoriale e una simpatia pulita, in un periodo in cui peraltro tutti si sforzano a risultare un po' più simpatici del dovuto, spesso senza riuscirci neanche un po'.
The Rocky Horror Picture Show dell'australiano Jim Sharman, che dopo il clamoroso exploit si fermò a un altro film solo, l'interessante Shock Treatment (1981), è l'eccezione che conquista ancora oggi la simpatia del pubblico più mainstream non andando assolutamente incontro alle esigenze di quest'ultimo ma, al contrario, correndo all'impazzata per la propria strada.
Alle platee che si sono rincorse negli anni dal '75 ad oggi, presenta una sarabanda di gag e situazioni al limite della decenza estetica e morale (soprattutto per il tempo) che costringe lo spettatore ad accettarne le pruriginose regole e abbandonarsi ogni volta di più al piacere delle piccole perversioni e dell'esibizionismo tipicamente queer, pur restando in una dimensione di gradevolezza unica nel suo genere. Così la storia dei due fidanzati della porta accanto, imbranati e perbene, che per una gomma bucata finiscono in una villa gotica dove il transessuale Frank (il grandissimo Tim Curry) li aspetta con la sua congrega di libidinosi freaks, diverte, contagia, rivendica la libertà sessuale e di costume con lo slogan "don't dream it, be it" (una delle scene più toccanti del film).
È un'opera da vedere e rivedere e da tramandare di generazione in generazione... anche nella forma teatrale che ancora oggi spopola a New York City. Per entusiasmarsi insieme ancora una volta ed educare al rispetto (e al fascino) della diversità.
VP